Thursday 12 June 2008

Schiavi Moderni


Ultimamente dal sito di Beppe Grillo mi sono scaricato il PDF "Schiavi Moderni". Mi ha commosso. Una serie infinita di brevi racconti di giovani dai 20 ai 60 anni che racconta una sola cosa: che l'Italia sta diventando come la Cina e la Romania. O peggio. Che questa e' la generation low cost, senza diritti e senza pensione, tutte le ditte si sono biagificate e tutti i lavori sono diventati a progetto, anche rispondere al telefono e scaricare camions e' un progetto; che vuol dire altissima precarieta, bassissime paghe e ricattabilita' totale del lavoratore. Non c'e' limite alla percentuale di lavoratori precari in una azienda, e' il bengodi del capitalismo selvaggio. Paradossalmente, e l'Italia e' il paese dei paradossi, anche i sindacati usano lavoratori interinali, cui nessuno fa formazione, sfruttati per 900 euro al mese...anche i sindacati si sono biagificati.


In altre nazioni i lavoratori a contratto vengono pagati di piu' del lavoratore fisso; in Italia di meno. L'Italia e' il paese alla rovescia.

I laureati le vittime preferenziali, 20 anni di studi per un "salario" dai 600 ai 900 Euro. Un ingegnere in Italia guadagna meno di un ragazzo Mc Donald in UK. All'inizio leggevo con incredulita', non pensavo che l'Italia fosse davvero ridotta cosi' male. Ma come, in televisione sembrano tutti cosi' ottimisti e pieni di energie, parlano tutti cosi' bene della legge Biagi! Vuoi vedere che il paese reale non e' come te lo raccontano in TV.

E tutto a un tratto mi ci riconosco in loro: anche io ho vissuto quella angoscia, di chi e' disposto a tutto ma non trova niente, tranne delle colossali fregature. Di chi si sbatte per anni sacrificando tutto, per non rimanere che con un pugno di mosche. Le centinaia di curriculum mandati senza ricevere una risposta. Unica offerta uno stage non pagato di 3 mesi a Modena con promessa di assunzione ovviamente alla fine non mantenuta. I concorsi per un posto sottopagato, con decine di laureati in fila pronti a svendersi per una pagnotta. Se non ci stai, ce ne sono altri cento fuori pronti a prendere il tuo posto.

Poi la umiliantissima esperienza della Scuola di Telecomunicazioni di Aosta, i prof di Torino strapagati, e noi assistenti valdostani a far da sguatteri senza nessuna progettualita'. Le segretarie ci prendevano in giro "siete di famiglia ricca, per permettervi di lavorare per questa miseria". Viene nominato capo un diplomato di liceo classico, uomo politico dell'Union Valdotaine, pagato il triplo di me che sono laureato in ingegneria. Porto avanti delle idee, voglio fare della Scuola un centro di ricerca e sperimentazione mitteleuropeo sulle comunicazioni, con collaborazioni con il politecnico di Losanna, con le aziende sul territorio, enti locali... parlo di far crescere un vivaio di scienziati locali.. di internet, di banda larga, di decentramento dei servizi, di tutela e valorizzazione dell'ambiente attraverso la tecnologia... mi guardano con ostilita' e sospetto, vengo apertamente invitato a stare zitto. Provo a rivolgermi al mondo dell'informazione e della politica, paradossalmente gli unici a dimostrare interesse sono i fascisti. Forse gli unici a non avere nulla da perdere, chi lo sa. Capii allora che la Valle d'Aosta e' un pezzo di Sicilia trapiantato al Nord, un pianeta delle opportunita' perdute. Il pantano di catrame in cui affondano e muoiono le speranze, dibattendosi disperatamente per uscirne. Che o rientri in un sistema omertoso e mafioso, o resti un frustrato tutta la vita, o scappi.




Il cammino della speranza.



Partii con uno zaino sulle spalle, senza dire niente a nessuno, non volevo spezzare il cuore a mia madre. Via internet ero entrato in contatto con una azienda della Virgina, USA. Erano i tempi della corsa all'oro tecnologica, il 1997. Arrivo per il colloquio e abituato alla merda italiana penso subito "adesso mi attirano in un sottoscala e mi tolgono un rene". Invece no, mi mandano sei mesi in India per la formazione... bellissima l'India, mi restera' sempre nel cuore...sei mesi senza vedere un bianco arrogante, solo bellissimi sorridenti gentilissimi indiani, che bellezza. Poi comincio a lavorare per le aziende americane. Stupore. Qui se sei in gamba sei valutato, ti lasciano fare, i managers sono tecnici competenti e non politici mafiosi come da noi. Lavoro la meta' che in Italia e guadagno il doppio. L'America fa schifo, la gente e' ignorante e ultranazionalista, pero' si lavora bene, c'e' organizzazione, positivita', comunicazione. Io all'inizio mi sento come uno schiavo gallo deportato nella Roma Imperiale, intorno a me i fasti dell'Impero Americano, che odio ma che rappresenta per me l'unica possibilita' di liberta'. Io piccolo schiavo valdostano la domenica vado a pulire stalle per arrotondare lo stipendio e non dimenticarmi delle mie origini; via de Tiller gremita di gente e' un miraggio in questi deserti suburbani di parcheggi e supermercati, ogni volta che sento odore di letame nei campi affogo di nostalgia, lo scampanio delle mucche un ricordo di paradiso perduto lontano. Ma indietro non si torna, mai piu' nelle grinfie dell'Union Valdotaine.

Chiave a stella dei bytes, scopro una umanita' in movimento, l'immigrazione cinese e indiana che e' ormai un fenomeno di massa; e scopro che noi italiani abbiamo molto piu' in comune con i cinesi e gli indiani che con gli anglosassoni, solo con loro divido il mio cibo, a Chinatown passo tutti i miei momenti liberi, solo colleghi indiani mi invitano a casa loro. Gli americani sono dei poveracci, hanno tutto ma non sanno e non sentono niente, accumulano ogni sorta di oggetti ma in fondo al cuore hanno la disperazione, e piu' sono disperati piu' comprano. Massacrano il pianeta col loro consumismo ma negli occhi hanno tristezza. Ho visto molti piu' sorrisi in una favela di Bombay che in tutti gli Stati Uniti. In 3 anni non ho mai visto un nonno americano a spasso per mano con il nipotino. Su una spiaggia di Los Angeles, gli americani se ne stanno a gruppi di uno, di due... i messicani, minimo quindici persone con 4 diverse generazioni insieme.

A New York un anziano giace sull'asfalto in mezzo alla strada, perde sangue dalla fronte. Le automobili americane lo scansano e proseguono, i passanti americani fanno finta di niente e continuano nella loro corsa meccanica per il successo individuale. Un italiano in bicicletta si ferma e lo soccorre. L'uomo e' ukraino, si era inciambottato traversando la strada. Forse la solidarieta' esiste solo fra gli schiavi del sistema; chi ha accettato il sistema nel suo cuore, e vuole per se' un posto dominante, vede nell'altro o un alleato da sfruttare o un competitore da eliminare.

Il nuovo mondo e' un immenso nulla fatto di merci in movimento, dove l'uomo muore. Quando mi sento impazzire, scappo in Messico o a Cuba per riscoprire un po' di umanita'.

Il crollo del Nasdaq falcia il mercato del lavoro, ormai nauseato dagli USA me ne torno volentieri in Europa, destinazione Londra, ponti d'oro dopo la mia esperienza americana. Londra e' squallida, nera, indolente, le donne inglesi obese alcolizzate e ripugnanti, il cielo eternamente bigio; dopo New York che vibrava di mille culture e di vita per le strade Londra mi angoscia... il lavoratore inglese non ha passione, e' individualista e scostante, preferisce mandarti un email che parlarti, soprattutto se sei straniero. Gli americani non erano cosi', avranno tanti difetti pero' la loro e' una cultura della comunicazione.

Alla fine vinto dalla nostalgia accetto un lavoro a Milano, però se Londra mi deprimeva Milano mi angoscia coi suoi veleni e la sua gente sempre incazzata, una urbanistica che squarcia il cuore tanto e' squallida, un cielo lattiginoso e zanzare a gogo'. Dicono giustamente che il peggior castigo per un valdostano e' andare a Milano in una giornata di nebbia. Dice il saggio napoletano: "l'unica cosa buona a Milano e' il treno che ti porta via". Il milanese ha una costante smorfia di disprezzo sul viso, ti dice apertamente "se Milano non ti piace, vattene". Mi sono sentito piu' straniero a Milano che a San Francisco.

Pero' fra i colleghi "immigrati" come me riscopro l'italianita', il prendere il caffe' assieme, il fare pausa pranzo assieme... il piacere di stare assieme dopo tanti anni di isolamento in societa' anglosassoni ultraindividualiste. E riscopro la straordinarieta' del lavoratore italiano, il suo adattarsi a fare di tutto, il suo coinvolgimento emotivo nel lavoro, la sua eterna allegria (a meno che si tratti di un milanese). Bellissimi i napoletani, poeti scanzonati, maestri nell'arte di sopravvivere con allegria in mezzo al caos. Poi venne Roma, ti inebria di storia ma è imperiale e violenta come quella di 2000 anni fa, disumana e razzistissima con gli immigrati; mi trascino per 3 mesi sulle stampelle per un incidente di pallone e gli unici a tendermi una mano sono gli immigrati, una donna latinoamericana mi aiuta a portare il cestino al supermercato e la cassiera italiana la insulta violentemente. Nessuno che ti ceda il posto sul metro, alle code, la lotta e' di tutti contro tutti, i deboli devono soccombere, le risorse non bastano per tutti. E poi apparve Napoli, dolcissima e sognante, malinconica poetessa con una filosofia trillenaria, quando presi il treno per andarmene piansi sapendo di aver perso una possibile patria. Napoli come Cuba, dove tutto diventa possibile nella fantasia e nel cuore grande della gente; non mi stupisce che Zanotelli abbia scelto di vivere a Napoli.

E via cosi' per le strade del mondo, dal pianeta Canada degli uomini di ghiaccio, alla razzistissima Danimarca, alla Finlandia magica e fredda - una Val d'Aosta spianata fatta di boschi e laghi - piena di conigli dalle grandi orecchie che sbucano dai boschi, alla Germania meccanica dura industriale e impersonale, alla Olanda dove solo le rane e le anguille sopravvivono nel marcescume da cimitero dei canali. Avanti cosi', dentro e fuori dal sistema, un po' servo del sistema, "pallido verme del formaggio capitalista", e un po' operatore di solidarieta' internazionale - la tenerezza dei popoli - in Brasile, Guatemala, Ruanda, Nicaragua, Palestina..., finche' riusciamo a mandare avanti il gioco, finche' il mare sopra noi sara' richiuso.

Dice, "ma tu ci torneresti in Valle d'Aosta"? Ma che ci torno a fare, dai, ormai in Valle le ho provate tutte, non fa proprio per me. Se altrove ho una possibilita' su un milione, in Valle proprio zero. E poi a far che cosa, non ci sono progetti, a me piace progettare, costruire, sognare, in Valle pensano solo a mungere la mucca della amministrazione pubblica, chi aveva le idee e' gia' scappato. Dice, "ma non hai nostalgia ogni tanto?". Si, della mia adolescenza di scorribande sulle montagne con Stefano e Sergio Deleo, rutti e scorregge liberi, cani randagi mucche e stambecchi, quando eravamo lassu' gli ultimi e non pensavamo neanche che esistesse qualcosa al di fuori di quel paradiso. Ma poi scoprii che gli dei non stanno sulle montagne, stanno in mezzo ad una umanita' che soffre spera e si contorce... pero' si, sempre pensando che mi piacerebbe andare a morire al lago delle Laures, il paradiso creato da un dio che non esiste.

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